Sora (FR) – Asl ed equipe medica condannate per una garza lasciata nell’addome durante il cesareo

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L’Asl di Frosinone ed una intera equipe medica ed infermieristica condannate per un caso di malasanità su una giovane partoriente.

Ad assistere la parte civile, una giovane donna del cassinate, lo Studio Legale degli avvocati Giovanni Di Murro e Michela Perrozzi di Roccasecca. I fatti risalgono al 2018, quando veniva eseguito un parto cesareo presso l’ Ospedale Santissima Trinità di Sora.
Nei giorni successivi a quello che doveva essere il periodo più bello della sua vita, la giovane madre iniziava ad avere disturbi e malessere generale che i medici riconducevano banalmente ad una depressione post partum.

Non era così, i sintomi peggiorarono e dopo mesi di sofferenze, una radiografia eseguita presso una clinica privata rivelarono che nell’addome della donna c’era un corpo estraneo: avvolta
nell’intestino, infatti, era stata lasciata dai sanitari e dagli infermieri durante il parto una garza laparotomica delle dimensioni di 50×50 cm.

Fu necessario sottoporre la giovane mamma ad un intervento di urgenza presso una clinica privata del Cassinate che le salvò
la vita anche se la costrinse alla rimozione di un tratto dell’intestino: se fosse arrivata soltanto qualche
ora più tardi, non si sarebbe salvata a causa della grave infezione che dall’intestino poteva diffondersi in
sepsi generalizzata.

I legali della donna, gli avvocati Giovanni Di Murro e Michela Perrozzi, del Foro di Cassino, decidevano a quel punto di citare in giudizio non solo la Asl di Frosinone ma tutta l’equipe medica, sul presupposto per cui “nell’attività chirurgica d’equipe, con il compimento di un’operazione chirurgica, tutta
l’equipe medica assume nei confronti del paziente una vera e propria posizione di garanzia, che impone ad ogni sanitario il rispetto delle regole di diligenza e prudenza”.

Alla base di tale posizione è la definizione di attività medica d’equipe che come si legge nella sentenza “si fonda sulla cooperazione fra più sanitari che intervengono all’interno di un unico percorso diagnostico o terapeutico, perseguendo l’obiettivo comune della salute e della salvaguardia del paziente che vi sia
sottoposto: la condotta del singolo medico è, dunque, funzionalmente connessa a quella del resto dell’equipe, dal momento che, senza la necessaria interazione fra le competenze tecnico-scientifiche differenti proprie di ciascun componente, lo scopo unitario non potrebbe essere raggiunto”.

Il giudice ha accolto la tesi difensiva degli avvocati Di Murro e Perrozzi secondo i quali la responsabilità era in capo a tutta l’equipe medica poiché non è dato sapere se l’errore nella conta delle garze sia avvenuto all’inizio, prima dell’inizio dell’intervento chirurgico ovvero alla fine, prima della sutura.

Il Giudice del Tribunale di Frosinone ha stabilito che il danno patito dalla donna risulta essere in chiaro nesso di causalità giuridico-materiale con la condotta dei sanitari (medici e infermieri) che hanno preso parte al parto cesareo e che l’infezione successiva al parto ed il necessario reintervento sono stati conseguenze dirette ed esclusive della reazione infiammatoria generata dalla garza ritenuta in addome.

La responsabilità è ascrivibile non solo alla ASL di appartenenza ma a tutta l’equipe: “Il conteggio e il controllo dell’integrità delle pezze laparotomiche e dello strumentario chirurgico devono essere eseguiti da due persone ovvero ferrista ed infermiere di sala. Una volta effettuata la conta, questa deve essere comunicata ad alta voce al chirurgo operatore.

Quest’ultimo supervisiona e verifica che la conta delle pezze e dei ferri chirurgici sia corretta, cioè che il totale di garze utilizzate e rimanenti corrisponda a quello delle garze ricevute prima e durante l’intervento”.

La sentenza del Tribunale di Frosinone è altresì innovativa in relazione al riconoscimento del danno in capo al marito della donna, il quale ha subito, secondo il Giudice di Frosinone, un pregiudizio di natura morale, connesso ad un vero e proprio stravolgimento della vita quotidiana a causa della condizione della consorte, costretto a gestire da solo sia la bambina appena nata, sia la difficile situazione di salute della madre.

La giovane donna ed il marito hanno dunque ottenuto un congruo ed importante risarcimento dei danni, che – affermano gli avvocati Giovanni Di Murro e Michela Perrozzi – “non potrà cancellare di certo le sofferenze patite ma si auspica sia da monito per le strutture sanitarie ed i loro operatori a non incorrere in futuro in errori tanto gravi da mettere in pericolo la vita dei pazienti”.

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