Il buongiorno si era visto dal mattino. I locali fatiscenti, i buchi nella rendicontazione, l’uso illegittimo dei pocket money, un sistema che rendeva eludibile ogni forma di controllo e trasparenza. Era tutto chiaro o quasi sin dal principio della gestione dei profughi targata Unione dei Comuni “Antica Terra di Lavoro”. Questo, almeno, è quanto emerge dall’informativa che la Digos, la prima ad indagare sul progetto di accoglienza, inviò alla Procura di Cassino nel giugno 2013. Inchiesta poi passata di competenza alla Guardia di Finanza e conclusa con la contestazione di un danno erariale di 800.000 euro nei confronti del sindaco Antonio Salvati e del dirigente comunale Giovanni Federici.
I pocket money
Nell’informativa la Digos innanzitutto segnalava l’anomalo impiego de “pocket money”, ossia i contributi per le piccole spese personali, che da andavano da un minimo di 2,50 euro giornalieri fino ad un massimo di 7,50 euro giornalieri a nucleo familiare. Tale importo, come più volte ribadito dalla dipartimento di Protezione civile della Regione Lazio, doveva essere erogato attraverso buoni spendibili negli esercizi convenzionati per l’acquisto di bolli postali, schede telefoniche, snack alimentari, bibite, sigarette, libri, giornali. L’Unione dei Comuni, invece, venendo meno alle disposizioni, decise di consegnare direttamente i soldi, lasciando però tracce confuse di questa erogazione. «Un comportamento irresponsabile – scrive la Digos – che in più occasioni ha rischiato ed in lacune circostanze ha comportato pesanti turbative all’ordine pubblico» a causa delle proteste degli immigrati.
I buchi nella rendicontazione
L’altro aspetto critico sul quale si soffermava la Digos era quello della rendicontazione.Gli agenti presero in considerazione soltanto il periodo compreso tra luglio e settembre 2011. Ebbene dalla documentazione fornita dalla “Cooperativa Noi”, alla quale l’Unione dei Comuni aveva affidato la gestione dell’accoglienza, e quella acquisita presso la Regione Lazio, era emersa una differenza di ben 400.140 euro. A fronte dei 768.994 euro erogati dalla Regione, la “Cooperativa Noi” era riuscita a documentare soltanto 368.854 euro. Le lacune più lampanti, guarda un po’, erano emerse proprio nella rendicontazione dei “pocket money”. Successivamente il presidente dell’Unione dei Comuni, Antonio Salvati, si affrettò a consegnare altra documentazione alla Digos che provavano una spesa pari a 53.537 euro. Poco, molto poco rispetto al buco rilevato dalla polizia. Anche perché Salvati riuscì a fornire le ricevute fiscali soltanto per i costi irrisori: 64,95 euro per acquisti vari, 1.572 euro per i medicinali. Mentre invece per i più sostanziosi 51.900 euro spesi per gli operatori impiegati nel progetto di accoglienza il presidente l’Unione dei Comuni presentò soltanto un’attestazione del dirigente comunale, senza la minima traccia dei contratti di lavoro.
Un sistema pieno di falle
Più in generale la Digos evidenziava, non senza stupore, anche un’altra discrepanza: quella tra la spesa documentata dalla cooperativa (368.854 euro) e quella in possesso dell’Unione dei Comuni (439.180 euro). Il tutto a fronte di un sistema di pagamento prevedeva la mera presentazione di attestazioni per cui, si legge nell’informativa, «si potevano ottenere le somme di denaro senza il rischio di controlli sull’effettiva corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto effettivamente svolto». Rischio ancora più alto se si considera che, con la sub-convenzione siglata con la cooperativa “Noi”, si era creato, scrive la Digos, «uno schermo dietro il quale si potrebbero celare comportamenti palesemente illegali».
Fonte: Ciociaria Editoriale Oggi