Un gabinetto del treno Cassino-Roma che diventa per un mese la toilette di una intera famiglia, con le scomode e fetide sedute anni ‘80 (su cui ancora campeggia lo stemma Ferrovie dello Stato) che si trasformano prima in una sala da pranzo, all’occorrenza in poltrone ed infine in letti di fortuna.
Cinque persone che arrivano nella Capitale, scendono alla stazione, si sgranchiscono le gambe e risalgono appena possibile sulla prima carrozza in viaggio verso la città martire. Giorno o notte che sia.
Una trama perfetta per un film, magari di Elio Petri, con Volonté nella parte del capofamiglia disoccupato alla disperata ricerca di normalità. Una parte che avrebbe recitato alla grande. Ma questa storia è tutto tranne che finzione. Ed è solo cassinate. Prima si perde il lavoro, poi si accumulano le bollette ed i fitti, le buste della spese si alleggeriscono sempre più e si finisce a vivere sotto i ponti o sui treni (in questo caso) in un battibaleno. Italo, 49 anni, camionista con un passato nell’esercito da ex pilota di carri armati, sa bene come si vive quando la sorte si mette di traverso.
LA STORIA
Assieme alla sua famiglia, racconta L’Inchiesta, dopo venti anni di lavoro a Genova, è tornato a vivere per una serie di vicissitudini all’ombra dell’Abbazia, nella città che ha dato i natali ai suoi genitori.
Inciso: Italo è il nipote di Stanislao Alfredo Tortolani, primo, storico ed indimenticato tassista di Cassino.
Oggi ha tre figli: uno ha 14 anni, Angelo ne ha 28 anni e Paolo 20. Dai servizi sociali e dagli enti caritatevoli può ottenere qualche pacco di pasta, di riso o una confezione di latte. Ma non è quello che sta cercando dopo una vita di lavoro e sacrifici. Italo, dopo incredibili ed innumerevoli disavventure, oggi vive in un immobile abbandonato, dorme a terra, assieme a sua moglie e ai suoi figli, su delle coperte recuperate chissà dove. Ma non vuole la carità o l’elemosina. Chiede solo un lavoro, un qualunque impiego per lui o per i suoi figli. «Anche occasionale va benissimo» si affretta a ricordare nel bel mezzo dell’intervista. «Non vogliamo pesare su nessuno – aggiunge – vogliamo solo un’opportunità per tornare ad essere indipendenti. Nella mia vita – racconta ripercorrendo alcuni episodi salienti – ho sempre lavorato nel settore dei trasporti viaggiando sui camion in tutta Europa. Lo stipendio era decente e ci consentiva di vivere degnamente. Non navigavamo nell’oro, questo è certo, affrontavamo i problemi quotidiani come tutte le famiglie normali ma eravamo felici ed orgogliosi di quel poco che avevamo. Pagavamo l’affitto, le bollette e non ci mancava nulla. E’ stato così per tanti anni a Genova e anche nei primi mesi a Cassino, la città in cui sono tornato a vivere due anni fa. Ricominciare da zero nel mio settore è difficile – ricorda Italo – ma il lavoro di camionista che continuavo a svolgere qui, per quanto “a chiamata”, almeno mi dava modo di tirare avanti dignitosamente».
LA CRISI
Poi la crisi ed il tracollo: «Le telefonate di lavoro dalle aziende della zona cominciarono d’un tratto a diminuire ed i soldi a scarseggiare. Ma ancora riuscivamo ad arrangiarci. Poi la disgrazia di un incidente stradale grave in cui sono stato coinvolto ha messo fine alla normalità. La trafila in ospedale, la degenza, la burocrazia con le scartoffie da compilare per l’assicurazione, i periti, i tecnici, gli avvocati ed i carabinieri. I soldi del risarcimento a mio favore non sono mai arrivati, a differenza dello sfratto. E con le opportunità di lavoro azzerate, nel giro di una manciata di mesi sono finito, assieme a tutta la mia famiglia, in mezzo la strada. E così, non avendo neanche un’automobile in cui dormire i treni sono diventati la nostra casa».
«Vivere un mese o forse più alla stazione e sui treni che di notte fanno la spola tra Cassino e Roma è stata una esperienza terrificante» prosegue il racconto Angelo, il figlio più grande di Italo, un ragazzo che conosce l’arte della falegnameria e del restauro ma che trova lavoro sono occasionalmente e sempre più di rado. «Girare di giorno e di notte a Roma o nelle fermate che dividono la Capitale da Cassino, vivendo e dormendo sui treni come profughi, è qualcosa che difficilmente si può comprendere se non lo si vive – aggiunge -.
Certi odori, certe immagini sono impossibili da descrivere anche se nella mia mente sono nitide come non mai. Con mio padre disoccupato e noi figli con un lavoretto saltuario e in nero una volta al mese (quando ci andava bene) non sapevamo più dove sbattere la testa. Vivere in quelle carrozze maleodoranti era diventato insostenibile e così decidemmo di entrare in una scuola abbandonata di Cassino che da mesi è la nostra casa. Casa si fa per dire ovviamente – ironizza Angelo – dato che passiamo le notti sulle coperte distese a terra, senza materasso, senza nulla. Ma almeno abbiamo un tetto sotto cui stare. In attesa che l’assicurazione paghi a papà quel maledetto risarcimento (si parla di qualche migliaio di euro) – conclude il giovane falegname – questa è la nostra vita».
«Cos’è che vogliamo oggi?» si domanda retoricamente Italo. «Una cosa semplice: un’opportunità di lavoro, qualunque essa sia, per me o per i miei ragazzi. Questo e nulla di più. Solo così – conclude il camionista – la nostra famiglia potrà tornare a vivere normalmente, pagando l’affitto e le bollette e comprando un paio di scarpe nuove a mio figlio 14enne. Siamo gente onesta che vuole sacrificarsi e vivere del proprio lavoro. Mi auguro che qualcuno, in questa città, leggendo questa storia ci dia una chance. E’ tutto ciò che chiediamo».