A moderare gli interventi, l’avv. Sarah Grieco, che come coordinatrice scientifica del Polo Universitario Penitenziario (UNICAS) e Sportello per i diritti dei detenuti si batte da tempo per il riconoscimento del diritto all’affettività, alla genitorialità, alla sessualità dei detenuti. Presente al tavolo il Garante regionale dei detenuti, Stefano Anastasia.
Laboratorio artistico di inclusione sociale. Un progetto che non dovrebbe essere una sperimentazione estemporanea, ma un percorso sistematico, in grado di portare giovamento a chi ne è protagonista, elevando così la qualità della vita di un detenuto.
A tal punto da rendere migliore anche il suo rapporto con i propri figli e in generale con i familiari. Con i quali, invece, spesso si interrompono i rapporti durante la detenzione. In particolare quando si tratta di sex offenders. E’ proprio con questi ultimi, reclusi in una delle due sezioni presenti nella casa circondariale di Cassino, che è stato realizzato un interessante progetto laboratoriale.
Tele e pennelli da utilizzare insieme al papà per sentirsi di nuovo famiglia. Il tutto, documentato da una serie di scatti che dimostrano come dietro le sbarre c’è una genitorialità che va preservata. Di tutto questo, dei risultati ai quali ha portato la sperimentazione, si è parlato nel Palazzo della Cultura il 6 dicembre su iniziativa dell’associazione #lacittàchevorrei in collaborazione con Primavera Studentesca. In platea anche il prof. Maurizio Esposito, presidente dei corsi di laurea in Servizi Sociali dell’Unicas.
In quest’ottica si pone il progetto laboratoriale sperimentato con successo in una delle due sezioni di Cassino, senza dubbio la più problematica perché con maggiori limitazioni per i detenuti. Le attività svolte nella giornata conclusiva sono state documentate (con non poche difficoltà) dal fotografo Luca Visco da una serie di scatti presenti nella mostra allestita proprio nel Palazzo della Cultura.
Marco Ricci, avendo vissuto questa esperienza laboratoriale, ha rivelato alla platea: “Ha segnato le mie emozioni, siamo abituati a pensare al carcere che appartiene ad altri e non a noi. Ci sono entrato in punta di piedi perché crea timori utilizzare spazi che sono parte di persone che hanno commesso reati.
Ma è sicuramente un’esperienza tra le più belle per me. Abbiamo cercato con loro un’idea di gioco, finalizzato all’incontro con i loro figli e la giornata finale è stata commovente. Un momento di gioia, familiarità, condivisione. Che ha lasciato una immensa ricchezza emotiva”.
Non meno importante ascoltare la psicologa Stefania Liburdi: ha preparato i questionari e prima ancora ha tenuto i colloqui per capire poi quale fosse l’indice di soddisfazione al termine dell’intervento. “La partecipazione non è stata molto alta perché non tutti hanno tenuto comunicazioni aperte e buoni rapporti con i familiari. E poi, solo il 50% delle persone che hanno aderito sono arrivati fino in fondo. Alle giornate di condivisione hanno rinunciato in molti proprio perché le famiglie non hanno prestato il consenso.
Chi lo ha vissuto, però, ha potuto sperimentare un incontro condiviso. I detenuti hanno potuto vedere i loro figli disegnare, dare sfogo alla propria creatività. Cose che normalmente non vivono perché non sono più parte della loro quotidianità”.
Perché gli scatti per allestire una mostra? Perché non si poteva lasciare questa esperienza tra quelle mura. Luca Visco ha potuto realizzare le foto, con non poche difficoltà, perché molti sono i limiti imposti. Alcune delle immagini saranno donate proprio alla casa circondariale per rendere più colorati alcuni spazi.
Valeria Di Perna, l’educatrice che ha seguito da vicino ogni passaggio di questo progetto, ha sottolineato che la privacy andava tutelata perché si tratta di sex offenders che hanno molte limitazioni così come i minori, che ovviamente non possono essere resi riconoscibili attraverso le immagini. “E’ stato un progetto accolto con piacere e sarebbe bene replicarlo ed estenderlo anche ai detenuti comuni. Il numero di detenuti iniziali (15) si è assottigliato ma per chi è arrivato fino in fondo è stata una bella esperienza.
Mantengono i contatti con le famiglie attraverso colloqui e telefonate in numero limitato e in ambiente freddo, poco luminoso che non è piacevole far vivere ai propri figli. Dare loro il diritto ad un’affettività diversa significa migliorare la qualità del rapporto tra il padre e i figli ma anche con tutto il contesto familiare”.
Quanto vissuto dai tutor dell’Unicas, così come dagli studenti di Primavera Studentesca che svolgono da tempo questo ruolo o chi per la prima volta si è approcciato al progetto-carcere, sa che si tratta di una grande opportunità. Lo ha testimoniato Martina nel suo intervento: “Sono al mio secondo anno da tutor. Una esperienza particolare, formativa. Iscrivetevi – ha consigliato agli altri studenti presenti – è una ulteriore possibilità di relazionarci con situazioni che ignoriamo e che non fanno parte della nostra quotidianità. Ho scoperto che i detenuti iscritti all’università studiano molto più di quanto era prevedibile facessero”.
Estremamente soddisfatto è apparto il garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, che nel suo intervento ha sottolineato quanto si è “vicini all’obiettivo perché il giudizio su questo progetto è favorevole da parte dei detenuti, dei loro familiari e del personale. Le difficoltà sono le risorse umane, economiche, gli spazi.
Fare attività solo di mattina, quando ci sono anche i colloqui con gli avvocati, con i familiari, la scuola, diventa difficile. Ma questa assunzione di responsabilità da parte degli studenti, che io definisco repubblicana perché attiene all’art.27 della costituzione, è davvero importante”.
E lo è sul serio, infatti, perché come ha ribadito l’avv. Grieco, con l’ufficio del garante, Unicas è potuta entrare in carcere per fornire servizi. Un’attività di affiancamento studio che vede coinvolti gli studenti dell’ateneo e coinvolge le carceri di Cassino, Frosinone e Paliano. L’affiancamento dà ottimi risultati perché motiva e dà la forza per studiare, per riaprire quei libri chiusi da tempo o mai aperti.
“Un soggetto recuperato è un soggetto più sicuro quando sarà reinserito nella società” ha commentato la Grieco, aggiungendo: “Siamo convinti che progetti come questi diano il senso di quello che dovrebbe diventare il carcere nel nostro Paese”.
“Un ringraziamento sentito alla consigliera Battisti e al sindaco Salera che, con la loro presenza, hanno voluto segnare attenzione a questo tema, come istituzioni. Un grazie particolare va ai ragazzi all’Associazione universitaria Primavera studentesca che da subito hanno accolto la nostra proposta di collaborazione” così Luca Visco, presidente de #lacittachevorrei.